Cultura  >  “Noi” Museo della Storia e della Memoria

Il Vecchio Macello

Il Macello pubblico è stato costruito nel 1926 mantenendo questa destinazione fino alla fine degli anni ‘70. Dal 1983 ai primi anni 2000 è stato utilizzato dal Comune come magazzino per le attrezzature della segnaletica stradale, e come canile di ricovero temporaneo.
Dal 2004, grazie ad un contributo della Provincia di Rimini nell’ambito del progetto “Dar Luogo alla Cultura”, l’edificio è stato completamente ristrutturato e destinato a contenitore culturale polivalente per incontri, e sede dell’associazionismo per attività rivolte alla valorizzazione delle tradizioni.
Nel 2014 è divenuto sede museale dedicata alla memoria della Città, con la denominazione, dal 2017, di “Noi” Museo della Storia e della Memoria con: Il Vecchio Macello.
L’area prospiciente il canale durante l’estate ospita appuntamenti culturali. Il luogo è facilmente raggiungibile attraverso un percorso pedonale che costeggia la sponda destra del fiume Uso.

Il Macello pubblico: memorie orali
Otello Giorgetti, che tutta la vita ha esercitato l’attività di macellaio, è nato nel 1923 a pochi passi dall’edificio; intervistato da Gualtiero Gori, ci regala qualche ricordo:
Il Vecchio Macello, 2014
Abitavo a pochi passi dall’edificio, avevo la curiosità di andare a vedere, di andare a giocare in quel posto. Nel terreno attorno mio padre, Egisto Giorgetti detto Mavròt, aveva messo a coltura l’orto e piantato dei pioppi alcuni dei quali rimasti ancora oggi. Mi vengono in mente le bestie legate al muro, o ai pioppi, mi vengono in mente il lavoro degli operai e le varie maniere della macellazione. Come custode c’era Giorgini, un ex carabiniere in pensione, che veniva in bicicletta da Rimini e lo teneva come un gioiello. In alto c’erano le guidovia con le carrucole azionate con la catena. Negli edifici laterali c’erano la stanza per il veterinario e per il custode, l’ufficio del dazio; poi la stalla per il bestiame e la bascola per la pesa. Le bestie vi venivano portate col camion o con un carrettone trainato da cavalli, e messe nella stalla; a seconda dei casi potevano essere macellate subito o fatte riposare nella stalla un giorno o due. Delle volte capitava che gli animali prima di essere abbattuti riuscissero a rompere la corda e a scappare.
La macellazione riguardava tutti i generi di bestiame: bovini, equini, ovini, suini. Durante il lavoro entravo spesso a guardare; seguivo la visita dei veterinari; ricordo i loro nomi, c’era Baldini di Rimini, poi un certo Ferroni, Graziosi, infine Albarelli di Bellaria, che è stato l’ultimo.
Ogni macellaio del paese vi si recava coi propri operai e le bestie che aveva comprato ai mercati.
A quel tempo, la fine degli anni ’20, ricordo nella piazza centrale la macelleria di Giannetto Filippini coi suoi operai, Giovanni detto Nécia e Argao Giorgetti, Vittorio Bisacchi, poi quella di Peroni Domenico detto Mangàon, coi figli Piero e Gino. C’era anche una macelleria dove adesso c’è il Teatro Astra che poi fu acquistata da Bastiano Vasini, babbo di Paolo, che ha continuato l’attività fino agli anni ’80. Nell’angolo di Via Arno e Via Torre c’era Bisacchi. Alla Cagnona, nella piazza che adesso si chiama Marcianò, c’era Libero Bondi.

Entravo spesso anche ad aiutare mio zio Giovanni Giorgetti che nella macelleria di Giannetto Filippini era addetto a certi lavori come la sbiancatura della trippa, delle testine e delle zampe di vitello, che si pelavano con l’acqua calda.
Iniziai a lavorare come macellaio a quattordici anni a Rimini dal fratello di Giannetto Filippini, Vincenzo, che era appassionato di piccioni viaggiatori e ogni tanto andava via e mi lasciava gestire da solo la macelleria. A ventidue anni, nel 1945, aprii la mia prima macelleria a Igea Marina, dove c’è l’Hotel “Alba d’oro” che allora era una bottega di generi alimentari, c’era Boghetta Bruno che riparava le biciclette di fianco a me.

A comprare le bestie si andava ai mercati di Forlì, Cesena, Bologna, Modena; dipendeva da cosa serviva. Si andava tutte le settimane, il lunedì. Se ne occupava il mediatore, che per me era Oreste Scarponi di Bordonchio, passava a chiedere cosa mi servisse e mi informava su cosa c’era in giro di buono da comprare.

Per macellare veniva il macellaio con la sua squadra di operai, c’era l’odore del sangue, lo scolo andava a finire nel fiume. C’era un anello fissato sul pavimento, si legava la bestia a questo anello e uno con uno scoppino (un coltello) recideva un nervo sulla nuca. Bisognava essere precisi, non c’era molto spazio, il punto esatto si trovava alla fine della spina dorsale. I vitelli invece venivano abbattuti con un colpo di mazza. In seguito venne usata una pistola appoggiata alla fronte. La bestia cadeva a terra ancora recisa nelle vene all’altezza del collo e si dissanguava in poco tempo. Il sangue si raccoglieva, c’erano delle famiglie che lo venivano a chiedere, lo cucinavano lessato, era gratis. Poi la bestia veniva messa di schiena e si preparava per la scuoiatura, si agganciava e si alzava con le carrucole. Dopo scuoiata, si toglievano le interiora e si divideva in due parti. Passava il veterinario per la visita sanitaria, per il fegato e i polmoni veniva fatta una visita scrupolosa. In certi casi, a seconda delle condizioni in cui si trovava, passava nella categoria di “bassa macelleria” e venduta a un prezzo inferiore, e se non era valida neanche a questo veniva bruciata.

La soddisfazione del mio mestiere era di aver lavorato le parti della carne nel modo migliore affinché fossero più presentabili, la carne ha i suoi versi e va trattata a seconda della domanda e della sua destinazione. Dopo che ho chiuso il negozio, ho fatto il supervisore ai supermercati per conto di Corrado Sberlati; adesso quando vedo come viene trattata la carne rispetto ad allora, mi fa rabbrividire, noi la curavamo in modo particolare.


Per informazioni e orari di apertura:
IAT 0541.343808

Info

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Apertura al pubblico:
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Telefono: 0541.343747
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